mercoledì 27 gennaio 2010

Sfogo di un Precario

Precario, momentaneo, temporaneo, passeggero, provvisorio, transitorio insicuro incerto, dubbio instabile problematico caduco, effimero, e poi malsicuro traballante revocabile,questi sono i sinonimi dal vocabolario e continuano con accezioni moderne come:a tempo determinato, licenziabile, lavoratore temporaneo; invece sempre dal vocabolario i contrari così rassicuranti come:durevole, sicuro, certo, indubbio, stabile fisso definitivo e poi, fermo bloccato fissato immobile irrevocabile e inamovibile,confermato! Dopo tanti anni la precarietà diventa uno stato interiore, la mancanza di equilibrio ti fa vivere in una continua tensione, rimani così immobile per non cadere nell'abisso, non puoi fare progetti, né immaginare vacanze, perché ogni tre mesi per i più fortunati un anno, la tua vita lavorativa si interrompe, e non maturi nulla, tutto viene liquidato insieme alla tua dignità, ed è un sistema perverso che travolge tutto, gli affetti, le amicizie, persino le cose più elementari, come la cura dei denti o la salute, vengono meno in quanto ogni volta che inizi da capo non hai mai il tempo o i diritti necessari a curarti.

Dopo tanti anni di lavoro temporaneo, sembra quasi che la realtà è quella, ed è questa la follia, quando sei inserito in realtà lavorative grandi vedi i tuoi colleghi più fortunati con un contratto stabile, hanno un'energia diversa dalla tua, parlottano, sorridono, parlano di palestre, o di corsi di lingue, o della partita a calcetto, la normalità, tu invece, se un lavoratore di serie B, i tuoi diritti apparentemente uguale ai loro sono solo sulla carta, ma nella realtà tu devi fare attenzione ad ammalarti, a farti male, devi sempre correre, devi sempre dare il massimo, devi sempre farti conoscere farti apprezzare e non basta mai.

È così passa la vita,tre mesi per tre mesi, le tue bambine crescono,la tua fatica sempre maggiore, per poter assomigliare agli altri, per qualcosa che è un tuo diritto,devi sempre tribolare, a ogni scadenza di contratto con l'ansia che ti prende e non ti lascia. Credo che chi non vive questa situazione faccia fatica a capire, perché lavorare dovrebbe essere una cosa normale, non un bene che devi conquistare tutti i giorni che ha fatto Dio.

Io invece lo ringrazio Dio, per la forza che mi ha dato, per le mie bimbe, per mia moglie e la sua infinita pazienza, nel tirarmi su ogni volta che la mia autostima si frantuma contro l'ennesimo rifiuto l'ennesima fatica l'ennesima azienda che ti spreme come un limone, per poi sostituirti con un ragazzo al quale può proporre un contratto di apprendistato. Questa è l'Italia, questa madre che non amo più.